Stefano
(Grecia, 5Gerusalemme, 36) è stato il primo dei sette diaconi scelti dalla comunità cristiana perché aiutassero gli apostoli nel ministero della fede.

Venerato come santo da tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi, fu il protomartire, cioè il primo cristiano ad aver dato la vita per testimoniare la propria fede in Gesù Cristo e per la diffusione del Vangelo. Il suo martirio è descritto negli Atti degli Apostoli dove appare evidente sia la sua chiamata al servizio dei discepoli sia il suo martirio, avvenuto per lapidazione, alla presenza di Paolo di Tarso che in seguito si convertì lungo la via di Damasco.

Santo Stefano è venerato come protodiacono e protomartire. Il primo epiteto è dovuto al fatto che fu il primo e forse il più importante dei diaconi eletti in Gerusalemme. Il secondo è associato al suo nome sebbene il suo martirio sia cronologicamente preceduto da quello di Giovanni Battista, morto per decapitazione.

Il canone biblico vigente non fornisce alcuna informazione biografica o genealogica, malgrado il valore teologico della testimonianza resa dal santo dal nome greco israelita.

La morte per lapidazione

Le vicende di Stefano sono narrate negli Atti degli apostoli. Istituito diacono dagli Apostoli insieme ad altri sei discepoli, era stato arrestato dalle autorità religiose locali che proibivano la predicazione cristiana. La poderosa testimonianza che proclamò citando le opere divine dall’antico Testamento al Cristo, gli valse come condanna a morte per lapidazione per blasfemia. La lapidazione era la pena contemplata dalla legge mosaica per le colpe ritenute più gravi, quali la blasfemia e l’adulterio. Nel Nuovo Testamento, essa ricorre negli episodi della Pericope dell’adultera e in Giovanni 10:22-39 (vv. 31-32). Gesù viene processato sommariamente dai capi dei Giudei per aver affermato di essere il figlio di Dio e per aver resuscitato Lazzaro (Giovanni 11).

Stefano, dunque, venne condannato alla lapidazione:

«Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: “Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”. Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”. Detto questo, morì.»

Atti 7, 56-60

La datazione della morte

È possibile fissare con una certa sicurezza la data della sua morte per la modalità con cui avvenne: il fatto che non sia stato ucciso mediante crocifissione (ovvero con il metodo usato dagli occupanti romani), bensì tramite lapidazione, tipica esecuzione giudaica, significa che la morte di Stefano è avvenuta nel 36 d.C., durante il periodo di vuoto amministrativo seguito alla deposizione di Ponzio Pilato, il quale si era irrimediabilmente inimicato la popolazione per l’eccesso di violenza usata per sedare la cosiddetta rivolta del monte Garizim. In quel periodo a comandare in Palestina era quindi il Sinedrio, che eseguiva le condanne a morte tramite lapidazione, secondo la tradizione locale. In particolare, nella Bibbia è scritto che Stefano si inimicò alcuni liberti, cosiddetti probabilmente perché discendenti di quegli Ebrei che Pompeo aveva schiavizzato (69 a.C.) e che poi avevano ottenuto la libertà. Una esecuzione di questo tipo, così come la morte di Giacomo sempre per lapidazione, erano contrarie al diritto romano, in quanto nelle province dell’impero i romani si riservavano in esclusiva i processi capitali e la pena di morte.

Il culto

In un discorso tenuto nel 425sant’Agostino riferisce che, subito dopo il ritrovamento a Gerusalemme del corpo di santo Stefano, nel 415, iniziarono a verificarsi miracoli nei suoi luoghi di culto. Ci parla dell'”antichissima memoria di Santo Stefano” esistente ad Anconafin dall’epoca del martirio, sorta in seguito all’arrivo in città di un marinaio che avrebbe assistito alla lapidazione del protomartire, e ne avrebbe testimoniato la fede e il coraggio; e viene pure citato un luogo di culto africano del Santo: Uzala, nei pressi dell’odierna Tunisi.

Papa Onorio I donò nel 628 parte delle reliquie di santo Stefano, in particolare anche l’avambraccio del santo contenuto in un cofano bizantino d’argento, a san Bertulfo abate dell’antica abbazia di San Colombano di Bobbio, avambraccio poi donato nel 1217 alla dipendenza bobbiese della rinascente abbazia di Santo Stefano di Genova (che possedeva anche il feudo imperiese di Santo Stefano al Mare).

Si racconta che molti miracoli sarebbero avvenuti semplicemente toccando le reliquie, addirittura solo attraverso il contatto con la polvere della sua tomba; poi la maggior parte delle reliquie furono razziate dai crociati nel XIII secolo, cosicché ne arrivarono effettivamente parecchie in Europa, sebbene non si sia riusciti a identificarle dai tanti falsi proliferati nel tempo per cui il numero delle reliquie supera la realtà anatomica di un corpo umano, a Venezia (una leggenda narra che nella chiesa di Santo Stefano vi sia tutto il corpo del santo), Costantinopoli, Napoli, Besançon, Ravenna, padre Bernardino di Lioni (nel 1834) attesta che si conservavano nel Santuario di Materdomini di Nocera Superiorealcune reliquie del santo poi trafugate, ma soprattutto a Roma, dove nel XVIII secolo si veneravano il cranio nella basilica di San Paolo fuori le mura, un braccio nella chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, un secondo braccio nella chiesa di San Luigi dei Francesi, un terzo braccio nella basilica di Santa Cecilia in Trastevere; inoltre quasi il corpo intero nella basilica di San Lorenzo fuori le mura.

Inoltre, una parte di queste reliquie venne portata a Minorca, nelle Baleari, dove però si crearono tensioni con gli ebrei ivi residenti, sfociate in veri e propri scontri, culminati con la distruzione della sinagoga, prima della successiva pacificazione. È attestata anche la traslazione di alcuni resti mortali del santo (frammento del cranio) nella cittadina di Putignano (Bari), traslazione compiuta dall’abbazia di Monopoli al fine di preservarle dai concreti rischi delle scorribande saracene: le connotazioni temporali, quelle dell’anno 1394, danno anche origine al Carnevale della cittadina pugliese.

Al rinvenimento delle reliquie di santo Stefano è legata anche la dedicazione della seconda cattedrale di Concordia Sagittaria. Adesso il cranio del Santo è conservato nel museo del duomo di Caorle dove, probabilmente, furono gli abitanti della vicina Concordia Sagittaria a trasportarlo poiché si erano rifugiati nella laguna caorlotta.

Per il fatto di essere stato il primo dei martiri cristiani, la sua festa liturgica si celebra il 26 dicembre, cioè immediatamente dopo il Natale che celebra la nascita di Cristo. Il colore della veste indossata dal sacerdote durante la Messa in questo giorno è il rosso, come in tutte le occasioni in cui si ricorda un martire.

Il 3 agosto si celebra anche la festa della “Invenzione” (cioè “rinvenimento”, dal latinoinvenio) delle reliquie di santo Stefano, giorno in cui questo ritrovamento sarebbe avvenuto. Tuttora in alcune località si ricorda il protomartire anche in questo giorno, a Santo Stefano al Mare (Imperia) di cui è patrono, a Vimercate (Monza-Brianza), a Putignano (Bari) di cui è protettore e dove si conserva un frammento del suo cranio, a Concordia Sagittaria e in tutta la diocesi di Concordia-Pordenone, a Selci, delle quali è patrono e presso Taurisano (Lecce), di cui è patrono. Anche la Chiesa ortodossa ricorda il santo in questa data. Anche a Nusco (AV) la cattedrale è dedicata a Santo Stefano, e fu primo protettore della cittadina Irpina, ancora oggi il suo busto d’argento, viene portato in processione con il busto di Sant’Amato, santo patrono e primo Vescovo di Nusco.

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